Giovani e donne più propensi a chiedere aiuto

Mancano pochissimi giorni al 24 ottobre, data ultima per richiedere di usufruire del “bonus psicologo”, ovvero per accedere al “Contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia” e i fondi sono già esauriti. Il bonus è stato richiesto già da oltre 336 mila persone, una mole di domande che – conti alla mano – non verrà coperta dai fondi messi a disposizione (10 milioni di euro iniziali più i 15 milioni aggiunti in una seconda fase), fondi che bastano appena a coprire le spese per circa il 10% delle persone richiedenti.

Di fatto, la possibilità di accedere al bonus si è ridotta del 90%, nove su dieci sono le persone che non riceveranno alcun sostegno. Ciò non toglie che valga la pena tentare. A oggi a presentare le domande sono state più le donne rispetto agli uomini e sono stati più gli under 35 rispetto agli over 35, che sono comunque molti come sono molti – oltre 50mila – gli under 18.

Per chi volesse ancora provare, le richieste di sostegno possono essere inoltrate da persone con indicatore della situazione economica equivalente (Isee) inferiore ai 50mila euro. Il bonus ha la forma di un voucher e viene rilasciato dopo che un medico documenterà lo stato di disagio (anche il medico di base può farlo).

“Dobbiamo fare in modo che i problemi di salute mentale ricevano la stessa attenzione dei problemi di salute fisica perché hanno un impatto su ogni ambito della nostra vita”, scrive Carolina Traverso, autrice e curatrice della collana “Mindfulness” (in inglese “consapevolezza”) per Hoepli.

“Proteggere la salute mentale di tutti non è un lusso, ma un investimento per il futuro e un dovere morale che dovrebbe essere guidato da valori come l’inclusione e la protezione di chi è più vulnerabile, di qualsiasi provenienza sia. ⁣Servono investimenti maggiori sulla prevenzione, penso all’educazione emotiva nelle scuole ma anche a interventi mirati a ridurre i fattori di rischio sociali ed economici che possono incidere negativamente sulla salute mentale. ⁣Servono investimenti che permettano di avere più disponibilità di psicologi e psicoterapeuti nel servizio sanitario nazionale”. ⁣

Servono, naturalmente e come in tutto il pubblico italiano, “procedure snelle che permettano accessi facili e diretti alle cure di tipo psicologico, esattamente come accade quando dobbiamo prenderci cura della nostra salute fisica. Il bonus psicologo, che è un’eccellente iniziativa, reca con sé un carico di burocrazia a carico di pazienti e professionisti che può scoraggiarne l’attuazione. Credo che alla base della mancanza di investimenti sulla salute mentale ci sia ancora lo stigma che vede i problemi di salute mentale come un capriccio che dovrebbe, pertanto, passare con un po’ di buona volontà”, conclude Traverso.

La salute mentale è un privilegio di classe

Nella generale considerazione del fatto che molte persone rimarranno senza bonus pur avendone bisogno e osservando come la salute mentale sia quindi un privilegio di classe, c’è un dato positivo: sta diminuendo lo stigma verso i disturbi di natura psicologica e psichiatrica. Almeno l’autostigma, quello cioè che impedisce alle persone preoccupate per la propria salute mentale di cercare delle cure. Oltre a questo, i ricercatori identificano altri due diversi tipi di stigma, quello pubblico che è alla base degli atteggiamenti negativi o discriminatori che le persone hanno nei confronti della malattia mentale e lo stigma istituzionale.

Quest’ultimo in Italia, ma non solo, è evidentemente sistemico: si parla di stigma istituzionale quando le politiche dei Governi e delle organizzazioni private limitano, intenzionalmente o meno, le opportunità per le persone con malattie mentali. Per esempio con finanziamenti limitati da destinare alla ricerca sulle malattie mentali o pianificando quantitativi insufficienti di risorse da dedicare ai servizi legati al benessere mentale delle persone rispetto ad altre cure sanitarie. E come detto non è un tema esclusivamente italiano: un’indagine su larga scala curata dall’American Psychiatric Association ha concluso che “non esiste Paese, società o cultura in cui le persone con malattie mentali abbiano lo stesso valore sociale delle persone senza malattie mentali”. Ed è una discriminazione istituzionalizzata al pari del razzismo, del sessismo e dell’omofobia.

Ma andiamo con ordine. Più della metà delle persone che convive con malattie mentali non riceve aiuto anche perché, ancora troppo spesso, le persone stesse evitano o ritardano la ricerca di cure a causa della preoccupazione di essere trattate in modo diverso o del timore di perdere il lavoro per via dei pregiudizi e quindi con esso i mezzi di sussistenza. Questo perché lo stigma, il pregiudizio e la discriminazione nei confronti delle persone che soffrono di disturbi mentali non viene contrastato in modo adeguato. Stigma, pregiudizio e discriminazione nei confronti di queste persone possono essere sottili o evidenti ma, indipendentemente dall’entità, sono una forma di violenza che causa danni alla persona e alla società come collettività.

Lo stigma spesso deriva dalla mancanza di comprensione o dalla paura e in modo determinante, alla sua costruzione contribuiscono le rappresentazioni mediatiche – spesso imprecise, macchiettistiche o fuorvianti – della malattia mentale, delle persone che ne soffrono, delle cure previste.

A cominciare con il caso di Marco Bellavia, ex-concorrente del Grande Fratello Vip: un caso che ha smosso l’opinione pubblica e che ha fatto luce su quanto la televisione sia ancora indietro sul tema della salute mentale (Bellavia ha lasciato il programma dopo essere stato isolato e bullizzato dagli altri concorrenti in seguito all’ammissione di vivere con problemi di depressione). E non è, nemmeno stavolta, un problema italiano. Uno studio pubblicato nell’aprile 2020 sempre dall’American Psychiatric Association ha esaminato anche il film “Joker” (2019), che ha come personaggio principale una persona affetta da una malattia mentale che può esprimersi in maniera estremamente violenta.

Lo studio ha rilevato che la prospettiva e la narrazione del film “erano associate ai livelli più elevati di pregiudizio nei confronti delle persone con malattie mentali” e che “il personaggio di Joker può esacerbare l’autostigma sperimentato dalle persone con un disturbo mentale, portando a ritardi nella ricerca di aiuto”. D’altro canto, molte celebrità come Demi Lovato, Dwayne “The Rock” Johnson o Lady Gaga hanno condiviso pubblicamente le loro storie personali e dettagli sulla propria salute mentale portando la discussione a sollevarsi anche nei media generalisti e nel quotidiano di moltissime persone, soprattutto giovani e che frequentano le piattaforme social.

I giovani, infatti, quelli che più hanno fatto richiesta del bonus, sembrano spogliati di molti pregiudizi grazie proprio alle bolle social che affrontano questi temi con un nuovo approccio, senza discriminazioni e proprio lì, sulle piattaforme digitali, cercano informazioni e trovano spazi “safe” di confronto.

Un sondaggio svolto in America nel 2020 su giovani di età compresa tra i 14 e i 22 anni ha rilevato che il 90% degli adolescenti e dei giovani adulti che soffrono di sintomi di depressione stanno facendo ricerche su questi problemi online e la maggior parte di loro accede alle storie di salute di altre persone tramite blog, podcast e brevi video su Instagram, Youtube o TikTok. In tal senso anche le campagne di social media marketing possono essere efficaci: esaminando l’efficacia di una campagna di marketing sociale anti-stigma in California viene fuori che tale campagna ha aumentato le richieste e l’utilizzo dei servizi (pubblici e privati) presenti sul territorio.

Anche qui, i ricercatori dell’American Psychiatry Association hanno stimato che se tutti gli adulti con probabili malattie mentali fossero stati esposti alle campagna di salute mentale, il 47% avrebbe ricevuto le cure necessarie a superare i disagi. Nel 2021 il tema della salute mentale è diventato popolare anche, per esempio, in Spagna e il quotidiano El Pais ha titolato cinque pagine di approfondimento “Espana, en terapia”.

È accaduto che il Governo spagnolo ha annunciato l’avvio di un piano d’azione per la salute mentale con una dotazione di 100 milioni di euro che include la promozione della formazione sanitaria in materia, una campagna di sensibilizzazione ed un numero telefonico attivo 24 ore dedicato all’assistenza e al supporto e per la prevenzione dei comportamenti suicidari. Durante gli ultimi due anni, in Italia, le richieste dI aiuto da parte di chi soffre di istinti suicidi sono aumentate del 55%: significa la media di 6.7 casi ogni 100mila abitanti. “Gran parte di queste richieste proviene dagli under 26: ragazzi e ragazze giovanissimi che si trovano a far i conti con un’emergenza di cui spesso si parla troppo poco”, spiega Ilaria Albano, su Instagram Psicologacortese.

La nuova narrazione di “Tuttio chiede salvezza”

La fiction “Tutto chiede salvezza” scritta e diretta da Francesco Brun e da vedere su Netflix è liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli (Premio Strega Giovani 2020). Senza voler fare spoiler, serie e libro raccontano la storia di Daniele (interpretato da Federico Cesari) e Nina (Fotinì Peluso) entrambi in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio in un reparto di neuropsichiatria. Sono gli anni Novanta anzi, è l’estate 1994, quella dei Mondiali. Insieme a lui ci sono dei compagni di stanza: uomini che come lui sono stati “travolti dalla vita”, si legge nel romanzo, “interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati”.

La “normalità”, oltre a essere un concetto vago perché si basa un costrutto sociale inventato e secolare, è sopravvalutata. La serie mette al centro le malattie mentali e le racconta con leggerezza, dando sostanzialmente uno spintone all’approccio discriminatorio, stigmatizzante, marginalizzante. E andando incontro ai tempi: il tema del benessere mentale era nel vaso di Pandora che la pandemia da covid ha scoperchiato violentemente insieme alle discriminazioni di genere, alle diseguaglianze sociali, alla precarietà e alle arretratezze del sistema italiano. E oggi se ne parla, finalmente, di salute mentale.

Rispetto alla fiction “Tutto chiede salvezza”, il divulgatore digitale History.hereguys scrive che “Parlare di salute mentale, depressione, malattie mentali è stato da sempre un tabù nel nostro Paese. La figura del malato di mente è un qualcosa di fastidioso, un’idea da scacciare dai propri pensieri, da relegare a quelle brutture che spesso preferiamo non vedere, soprattutto perché a volte ci fanno paura, o ci fanno ragionare troppo su ciò che noi stessi potremmo essere, in un momento qualsiasi della nostra vita. Il pazzo non è più unicamente quello che parla a vanvera o urla contro nemici immaginari. I pazzi potremmo essere tutti noi, indipendentemente da quanto potrebbe essere bella e patinata la nostra vita”.

E ancora, “Sono, spesso, le circostanze, gli eventi che ci accadono a metterci in ginocchio in un momento inaspettato, a renderci bisognosi di un aiuto che non possiamo infonderci da soli. Non è un momento di debolezza, una necessitá di aiuto a renderci dei reietti, disadattati e da evitare. Oggi, sembra che finalmente questo paradigma sia un po’ più chiaro e lo stigma che si portava dietro sempre più uno sbiadito ricordo. Oggi chiedere aiuto, quando il problema attiene alla salute mentale, diventa sempre più normale e un pelino più accessibile a tutti. Quindi perchè non farci un pensiero?”,

E indipendentemente dalla serie e dai progetti Tv, di salute mentale ne parlano sopratutto i giovani e i giovanissimi, persone che vanno “in terapia” da oltre dieci anni e di anni non ne hanno nemmeno trenta.

Persone che sanno che si: Il benessere mentale è un privilegio di classe proprio come, chi minimizza, dice sia la depressione. Chi sottovaluta la questione spesso ripete che le persone povere e le fasce più fragili della popolazione non soffrono di depressione perché non ne hanno il tempo: depressione, ansia, infelicità cronica, sono “malattie per ricchi”. Di certo lo sono se si decide di occuparsene: non esistono agevolazioni sulla base dell’ISEE e le sedute costano circa 80 euro l’una. A volte meno, a volte più. La salute mentale è assolutamente roba da ricchi, citando il brano di Marracash. E non è accettabile.

Fonte: alfemminile.com

https://www.alfemminile.com/psicologia/la-salute-mentale-e-roba-da-ricchi-e-per-alcuni-ancora-un-tabu-s4051229.html

Credit: Foto di Gerd Altmann da Pixabay